Uno scapaccione che riporta alla realtà. Non uno schiaffo, ma quasi. Quella manata che, specie da piccoli, ci arrivava da dietro, tra capo e collo, perché ci eravamo incantati a pensare non so cosa. Faceva un po’ male, fisicamente, ma tanto bene a livello umano e psichico. Ecco cosa, in fin dei conti, ricorda la lettura de “La scrittura non si insegna”, di Vanni Santoni, appena uscito per la collana “Filigrana” di minimum fax.
L’autore – finalista allo Strega con “La stanza profonda” nel 2017 –, oltre a dirigere la narrativa di Tunué e a scrivere sul Corriere della Sera, è stato docente in numerosi corsi di scrittura. Può perciò apparire contraddittorio il titolo scelto, ma non lo è. Perché se non si può insegnare a scrivere – ragiona Santoni – forse si può insegnare a pensare come uno scrittore.
Ma la questione è anche un’altra. Lo diceva già Leopardi qualche bella manciata di anni fa, lo hanno ribadito, nel corso dei decenni, fiori di scrittori e critici letterari: in Italia molti scrivono (o quanto meno ambiscono a farlo) e pochissimi leggono. Soprattutto è diffusa la convinzione che scrivere sia un’attività “automatica”, una sorta di trance, un riflesso incondizionato per il quale basta saper tenere una penna in mano (o in tempi più recenti, usare un applicativo di scrittura) e il gioco è fatto. Improvvisamente, un giorno qualunque, – magari con il decisivo aiuto di un editore a pagamento o del self publishing – si diventa “scrittori”. Et voilà! Senza fatica, né altri trascurabili outfit come esercizio, disciplina, lavoro, relazioni, scambio di informazioni, revisioni. Niente di niente, insomma.
Non si è capito ancora bene il perché, ma – a differenza delle altre forme di espressione artistica – scrivere è, nel comune sentire, quasi inversamente proporzionale al binomio talento-esercizio: ergo, meno sei dotato, meno ti eserciti, più scrivi.
Pensiamo invece alla musica. Un pianista non può improvvisarsi tale. Prima (ma anche “dopo”) vengono ore ed ore di esercizio, tutti i giorni. Un compositore, poi, deve conoscere alla perfezione la tecnica, oltre a tutto lo scibile in materia.
Ma si pensi anche all’arte figurativa. Acquistare tele, pennelli e colori non dà nessuna patente di artista. Prima vengono la conoscenza della storia dell’arte, dell’anatomia, le teorie del paesaggio, dei colori. Insomma, c’è da farsi il culo quadrato a furia di studiare, prima di provare a imbrattare una tela o di presentare un’ouverture. E ci vogliono molti anni prima di poter vantare un proprio stile.
Infine, si tenga bene a mente che scrivere o suonare o dipingere sono essenzialmente una questione di passione. E la passione non basta dire di averla. La passione è se opera. È viscerale o non è. Per intenderci: la vita non è più la stessa, se arriva una “passione” a sconvolgerla.
Detto ciò, lo scapaccione di Vanni Santoni allarga il discorso alla scrittura. “Volete scrivere?”, sembra domandare l’autore alle moltitudini che spediscono cose di qua e di là, che intasano caselle di posta elettronica, affollano – travestiti da spettatori – i festival letterari e i saloni del libro. “Volete scrivere? Molto bene… Queste sono le condizioni.” Prendere o lasciare.
Quali sono queste condizioni? Beh, anzitutto fare una bella “dieta” a base di letture. No, non leggiucchiare un po’ di questo e un po’ di quello, o millantare inesistenti superletture di gioventù. Leggere in maniera seria, sistematica, disciplinata. Nel libro, Santoni usa un tono scherzoso, ma non sta scherzando proprio per niente. Anzi, fornisce nomi e titoli. Sia chiaro, una buona volta, che senza aver letto tutta quella roba non è possibile nemmeno affrontare l’argomento “scrittura”. Non se ne parla proprio! Discettiamo di ippica, piuttosto. O di qualsiasi altro argomento, ma non di scrittura, per favore. Leggere, leggere, leggere: questo l’imperativo iniziale.
Dopo di che, fatta la dieta, è la volta della “disciplina”. Per scrivere occorre essere disciplinati, marziali come soldati. Sì, inquadramento e allenamento, insomma, ed essere disposti a sacrificare intere fette dell’esistenza. D’altra parte lo diceva anche Simenon che scrivere è una vocazione all’infelicità, o no?! Non vorrete mica scrivere e spassarvela al contempo?!
Ma non è finita qui. Il pamphlet di Santoni ci offre in chiusura un elenco di “errori da non fare” che vale la partecipazione a diversi corsi di scrittura. È il colpo del k.o. per chi già vedeva il proprio nome su una copertina cartonata, quello che piega le gambe all’avversario, all’ultimo round. Ma allo stesso tempo, è consolatorio come il consiglio di un vecchio, fidato amico.
Non sveliamo oltre per non togliere la curiosità. Compratevi il libro, dai! E leggetelo, mi raccomando! Cari aspiranti scrittori, ve lo prometto: non sarete più gli stessi dopo averlo fatto. Forse non sarete più nemmeno aspiranti scrittori e aspirerete a vivere la vita e basta, senza volerla per forza raccontare a qualcuno, scribacchiandola in un libro.
La differenza tra uno schiaffo e uno scapaccione? Il primo è per ferire, il secondo è sempre e soltanto a fin di bene.