Noi poveri ostaggi dei terroristi dell’altruismo

Noi poveri ostaggi dei terroristi dell’altruismo

Aiutiamo, commemoriamo, sosteniamo, impegniamoci, adottiamo, appoggiamo, insomma facciamo qualcosa per qualcun’altro, non importa chi: che sia il popolo siriano, il bimbo dello Zimbabwe, il disoccupato, la memoria dell’Olocausto, il reparto di pediatria di un ospedale, il paesino terremotato, il piccolo affetto dalla sindrome di Down, lo straniero senza casa.

In altre parole, l’altruismo è diventato obbligatorio, come le cinture di sicurezza. Non è più possibile rimanersene a casa propria, al calduccio, in pantofole, davanti ai titoli di testa di una serie televisiva o ad un piatto di pastasciutta e non sentirsi in colpa per qualcosa o qualcuno. Beninteso, parliamo di gente dalla coscienza pulita, che paga le proprie tasse e che non tradisce il partner. I rimorsi arrivano a causa di tutta quella serie di moniti silenziosi che arrivano dal mondo della (presunta) solidarietà. O dalla cassetta della posta. Quest’anno ho provato a mettere assieme tutto il materiale cartaceo rinvenuto nella bussola delle lettere; ne è venuto fuori un malloppo alto una ventina di centimetri. Ho calcolato che se avessi voluto versare un obolo – anche minimo – ad ognuno, sarei praticamente rovinato. Ma poi, analizzando le missive, mi sono anche posto alcune domande. Ad esempio, quanto costa tutto questo battage? Come fa ad essere tanto tempestivo rispetto all’attualità? (No, perché, ad esempio, la lettera di Amnesty per gli aiuti alla Siria è arrivata quando gli scontri di piazza erano appena cominciati. Viene da pensare che il tipografo stesse solo aspettando un segnale…)

Ma il terrorismo dell’altruismo non ha solo la forma cartacea, ma anche quella più eterea e incontrollabile dello spot pubblicitario. I famosi due euro che ci vengono chiesti un giorno sì ed uno no, via radio, televisione, giornali, passaparola, per aiutare terremotati, donne violentate, bimbi maltrattati, cani abbandonati, imprenditori rovinati (sic!) dal fisco, danno adito a più di un dubbio. (Come si dice: a pensar male si fa peccato, ma…)

Ad esempio, riguardo a questi sms benefici, perché non ci dicono quanti soldi vanno all’operatore telefonico e quanti vengono invece devoluti alla causa. E perché, al termine della campagna, non ci viene quasi mai riferito l’ammontare della cifra raccolta? E quante le paghe di chi li ha prodotti, quanti gli stipendi? Il differenziale tra l’attività solidale e il commercio si è ridotto pericolosamente e il sospetto che dietro la solidarietà si celi quanto meno una mentalità imprenditoriale, se non speculativa, è forte. La nostra coscienza di tranquilli cittadini è ridotta così come le strade di una città bombardata. Siamo ostaggi. Qualcuno venga a liberarci. O almeno raccolga due euro per la nostra causa.