Le voci di una casa non si imparano mai

Le voci di una casa non si imparano mai

Accade di solito tutto quando gli umani se ne vanno a dormire e lasciano la strada libera alle cose. Oggetti inanimati, solidi, mobili, infissi, pietre, cemento armato, rubinetti, guardaroba, scarpiere e ogni altra diavoleria che si adopera per organizzare uno straccio di vita casalinga. Il fatto è che uno si mette a letto e non vorrebbe doversi occupare del misterioso concerto che si tiene ogni notte tra le mura domestiche. E invece non appena lo spiegabilissimo ticchettio dell’orologio a muro lascia il posto ai primi fruscii, ecco che il bisogno di dormire, miracolosamente ci abbandona. Il Maigret che è in noi inizia le indagini preliminari, cercando una spiegazione logica abbastanza credibile: il vento, lo sfregamento del lenzuolo sul padiglione auricolare, il soffio agitato del o della partner e così via. E uno è sistemato. Avanti il prossimo…
È la volta del capitolo scricchiolii, che porta ad un lungo monologo interiore, zeppo di domande, che Marcel Proust a confronto era un analfabeta. Dunque, potrebbe essere l’armadio, dato che ho dovuto rimontare l’anta giusto qualche giorno fa; oppure la maestà della porta, considerate le maniere brusche dei nostri figli; oppure… (Lasciatemi pensare, santo cielo, un attimo solo, sto cercando di dormire, non siamo mica in un telequiz!) La madia, ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? Viene da una cucina austriaca dell’Ottocento, come vuoi che faccia a non scricchiolare una cosa così?! E due sono a posto! Che ci sta ancora?

Lancinante, arriva a farci sobbalzare, il cicalìo della lavastoviglie. Ha terminato il lavaggio quella zambracca e ci tiene ad informare tutti i componenti della famiglia. Vabbè, quanto meno, si tratta di un rumore spiegabile, non c’è problema. Il tempo di riportare le pulsazioni a regime ed ecco che – in concomitanza con l’inizio delle fasi REM di partner, figli, cane, pesciolino rosso, ecc. – si cominciano a sentire voci, frasi morsicate, mugugnii a cui ci prodighiamo frettolosamente ad assegnare una paternità. È il nostro sistema nervoso che lo esige. Ogni suono che la notte ci regala deve avere un proprietario, altrimenti potremmo divenire facili prede del panico.

Un lavoro, insomma, quello che ci attende alla sera, dopo una giornata di lavoro, appunto. E non c’è nemmeno la consolazione della conoscenza. Perché, è strano lo so, ma delle voci delle nostre case non conserviamo memoria. È per questo che ogni sera si rinnova la rincorsa alle spiegazioni, alla giustificazione di ogni fenomeno sonoro. Altrimenti resterebbe appannaggio del soprannaturale e, in tal caso, ci farebbe morire di paura. Altro che dormire!