L’Italia attacca se stessa. L’arma si chiama “azzardo”

L’Italia attacca se stessa. L’arma si chiama “azzardo”

La lotteria degli scontrini, il cashback, il supercashback sono le ultime novità nel campo. In quale campo? In quel terreno minato in cui lo Stato allena – o quanto meno mira a mantenere in buona forma – l’istinto dell’azzardo dei propri cittadini. Ossia quella tendenza, forse insita atavicamente in ognuno di noi, che di fronte ad una piatta normalità del reale consiglia sempre di fare un qualche tentativo per spostarsi sul piano del sogno. Perché lavorare da travet per 40 anni quando con un minimo rischio potresti vivere per sempre come un pascià? Peccato che quel “minimo rischio” può compromettere la stabilità sociale e mentale dell’individuo, in quanto la ludopatia nient’altro è che una dipendenza, riconosciuta, codificata e – è assurdo, lo so – curata dallo Stato stesso.

Per dare un’idea di come lo Stato sia in buoni rapporti con l’industria del gioco basti dire innanzitutto che si tratta dell’unica attività con una tassazione inversamente proporzionale al fatturato. Più fatturi, meno tasse paghi. Altro che scaglioni Irpef… Insomma, oramai a scadenze regolari, ci tocca parlare di questo cancro sociale che risponde al nome di “Gioco di Stato”. Sì, dai, Gratta&Vinci, scommesse, lotti istantanei, ecc. Quelle robe lì, insomma.

Qualche anno fa, nel piacentino, una madre di tre figli ha ucciso la propria anziana madre e, dopo averle sottratto una collanina, vendutola, è andata a giocare al videopoker. A tanto siamo arrivati. Al punto che in nome di questo gioco maledetto si arriva ormai a giustificare anche la morte di una persona. La signora, infatti, ha negato a lungo prima di crollare davanti agli inquirenti. Beninteso senza mentire, perché lei era veramente convinta di essere innocente, perché i soldi di quella collanina le servivano per una causa assoluta e primaria: il gioco. Una distorsione cognitiva che va ad aggiungersi ad altre tipiche del giocatore incallito. Ad esempio, la cosiddetta “Fallacia di Montecarlo” che si verifica quando il giocatore pensa di avere una maggiore possibilità di successo dopo una lunga serie di perdite (della serie: “Ho perso troppo, adesso ho diritto a una vincita”). Altra distorsione è quella conosciuta come “Effetto Macbeth” e sta ad indicare l’autoassoluzione di cui è capace un giocatore dipendente (“Lo sto facendo a fin di bene”, “Se vinco darò metà in beneficienza”, “Non lo dico a mia moglie, perché lei non potrebbe capire. Quando avrò vinto, capirà”).

“Vivere alla grande” è il documentario firmato dal bravissimo Fabio Leli, che merita senz’altro la visione se si vuole avere un’idea precisa della situazione. Un punto di vista preciso, incisivo e soprattutto una visione globale del fenomeno “gioco d’azzardo legalizzato”. L’Italia è sotto attacco. L’invasore non è uno Stato estero. Il nemico non ha un volto facilmente riconoscibile, ma la sua presenza è ormai talmente forte e radicata, che viene quasi considerato un alleato dal governo italiano. Il gioco d’azzardo legalizzato è una macchina perfetta che lavora a più livelli, e che negli ultimi anni anno ha succhiato agli italiani 100 miliardi di euro in 12 mesi.

Il proliferare del gioco d’azzardo è causato essenzialmente da due motivi. Anzitutto, abbiamo uno Stato che non può più fare a meno delle decine di miliardi che arrivano dalle società concessionarie. E poi, a differenza della dipendenza da droga e alcol, quella da gioco non mostra quasi nessuna evidenza fisica. Cioè, se vi capitasse di incontrare un giocatore, al di là forse di un po’ di occhiaie, non vi darebbe nessun motivo per identificarlo come tale. È questa la fregatura. E di gente così, per le strade delle nostre città, ce n’è sempre di più. Uomini e donne, normali all’apparenza, che girano i locali in attesa dell’evento che gli cambi la vita per sempre. Perché gli è stato inoculato il desiderio di farlo, attraverso una dipendenza che si regge anche su fattori biochimici difficilmente controllabili oppure su passioni distorte, come quella dello sport, uno dei settori più appetibili per l’industria del gioco.
Insomma, l’Italia è sotto attacco, eppure tutto appare normale. Non vi sono macerie, né morti per strada. Se non che, in questa stranissima guerra l’attaccante porta lo stesso nome dell’attaccato. Una nuova forma di schiavitù è servita. Les jeux sont faits, rien ne va plus.