Ma se i veri eroi della pandemia fossero i genitori?

Ma se i veri eroi della pandemia fossero i genitori?

Giustamente ci ha sconvolto l’elenco di medici, infermieri e farmacisti – ma anche preti, frati, suore – che ci hanno lasciati nell’esercizio del loro dovere. Ma penso anche alla dipendente delle poste e quella cassiera del supermercato. Si è fatto anche un gran parlare dei carcerati. Papa Francesco ci ha ricordato più volte di come lo stesso Gesù Cristo – dal momento dell’arresto nei Getsemani – lo fosse e nella Via Crucis dello scorso anno aveva invitato a portare la Croce il personale di un carcere friulano.
Altra categoria molto esposta sono state le forza dell’Ordine. A loro il nostro grazie, certo, per questa mansione inedita di cui si sono fatti carico: combattere le piccole disobbedienze sorte all’ombra della “grande disobbedienza”, quella di virus. Ci ha fatto perfino un po’ di tenerezza l’idea dei carabinieri che portano la pensione agli anziani barricati in casa. E tra gli angeli in divisa non possiamo non annoverare i volontari della Protezione Civile e i Vigili del Fuoco.Tutti encomiabili, a vario titolo, puntualmente ricordati dai media al tempo della grande pandemia.
Ma sui genitori, adesso, le vogliamo sprecare due parole?

Sì, i genitori. Mi riferisco proprio a mamma e papà, queste due figure che prima del disastro ci erano sembrate più volte sull’orlo dell’estinzione. L’emancipazione accelerata dei figli, le famiglie allargate, le separazioni, i divorzi, le ambizioni carrieristiche sono tutti fattori che ne avevano indebolito il ruolo e, di conseguenza, l’autorevolezza e l’efficacia educativa. Con la clausura forzata, la DAD, lo smart working, in questo tempo clamoroso in cui ci si è ritrovati a stare uno accanto all’altro per giorni e giorni, senza più la possibilità di andarsene sbattendo la porta o di ignorarsi, grazie ad una presenza casalinga rigorosamente alternata, costruita sui ritmi imposti da lavoro, scuola e svago serale, con questo doversi giocoforza guardare negli occhi a colazione, a pranzo e a cena tutto è cambiato. È arrivato il virus, il tempo ha improvvisamente rallentato, le porte di casa si sono chiuse: ed ecco che mamma e papà (o la sola mamma e il solo papà, nel caso dei coniugi separati), volenti o nolenti, hanno dovuto ricoprire il proprio ruolo. Non hanno, cioè, più potuto sottrarsi in alcun modo alle propri compiti educativi. Nessuna scusa – la fretta, i soldi, gli amici – è stata più sufficiente a consentire ai genitori di svicolare dai propri obblighi. È una delle pochissime conseguenze positive – assieme alla dismissione dell’ipocondria – della pandemia. Un piacevole effetto collaterale.
La cosiddetta genitorialità, che in molti oramai davano in crisi, se non spacciata per sempre, è stata costretta ad ipotizzare una rifioritura. Questo ci ha consentito di poter affermare che non era la genitorialità ad essere in crisi, erano i genitori a non dedicarle abbastanza tempo.
Un eroismo minore, casalingo, che non ha fatto notizia, non è entrato nei telegiornali o nelle conferenze stampa, ma che forse sta cambiando le famiglie di mezzo mondo. Un eroismo connotato naturalmente dall’età dei figli. Chi ne ha di piccolini ha dovuto combattere l’irrazionalità del neonato con quintali di pazienza (e di Lexotan), rinunciando alla valvola di sfogo della gita al parco, ma avendo più tempo per osservarsi dall’esterno, con quel fagottino in braccio, e – senza distrazioni – riflettere su cosa significhi veramente mettere al mondo una creatura al giorno d’oggi. La prole in età scolare ha richiesto spiegazioni su quanto avveniva nel mondo, su cosa è esattamente il mondo e in cosa consiste e come si concretizza il mistero della vita.
Ma è nelle famiglie con figli adolescenti che l’effetto si è fato prorompente. Da quanto tempo genitori e figli non si guardavano negli occhi? Da quanto tempo un padre non chiedeva a suo figlio se era felice? Da quanto tempo una figlia non confessava a sua madre i suoi desideri più reconditi? E poi speranze, aspirazioni, confidenze, recriminazioni… Insomma, genitori e figli hanno pian piano ricominciato a parlarsi. Un microscopico virus, in una settimana o poco più, è riuscito qui a fare più di decenni di pedagogia e psicanalisi. Ricordiamocelo quando tutto sarà finito. Anzi, ricordiamocelo da subito, perché è probabile che non ci sia nulla che dovrà finire. Quando si diceva “andrà tutto bene” o “ce la faremo”, sotto sotto, si sperava di tornare a vivere come, se non “peggio” di prima. Anzi, molti – dimostrando di non aver appreso minimamente la lezione morale del virus – hanno la sfacciataggine di dichiararlo ancora oggi con il petto in fuori: “Ripartiremo più forte di prima”.
Tutto è cambiato e niente sarà come prima.
Nemmeno l’essere genitori.