Durante una delle ultime settimane avevo deciso che la misura era oramai colma. La pandemia, la crisi di governo, la barba troppo lunga: qualcosa dovevo pur fare. L’immobilismo non mi avrebbe condotto verso alcuna soluzione. Questo oramai era chiaro. Sì, ma che fare? Mi sono guardato un po’ attorno, ho chiesto ad alcuni amici, quindi ho preso a gironzolare sul web, ravanando tra i banner pubblicitari, mandando a memoria lunghi passaggi da siti come my-personaltrainer.it, valorinormali.com, doveecomemicuro.it (esistono per davvero, non me li sto inventando…). Alla fine, dopo un giro di consultazioni con il comitato allargato formato da me, io e me medesimo, ho risolto che la soluzione poteva essere solo una: assumere un maestro zen. Costi quel che costi.
Così, alle 4 del mattino, seduto al tavolo della cucina, mi arrovellavo sulle possibili fattezze e sull’indirizzo mail di un profilo che facesse al caso mio, quando – come ogni mattina – Ronnie ha chiesto di poter uscire sul terrazzo. Gli ho aperto in maniera automatica e mi sono rimesso a sedere, fissando questa volta la silhouette del mio gatto, seduto sul tappetino d’ingresso. Ho osservato i suoi movimenti come faccio sempre, ma questa volta prestandovi più attenzione. Quando, al termine della notte, Ronnie esce di casa, segue tutta una precisa procedura di approccio al nuovo giorno. Si guarda attorno una prima volta con eleganza, scrutando ogni angolo del cortile e del muro di recinzione, quindi si accomoda, arrotolandosi la coda attorno, come Minosse, dando il via ad una seconda passata di analisi del dintorni. Le sue movenze sono arcaiche, frutto di centinaia di migliaia di anni di evoluzione, quasi un rito. Ci sono in lui curiosità, sicurezza, pace, lucidità: guarda caso le stesse sensazioni per le quali in queste settimane mi si è accesa la spia della riserva.
Provate ad immaginare la sorpresa e il gaudio che mi hanno colto nello scoprire che il maestro zen ce l’avevo lì in casa e, incredibilmente, non me n’ero ancora accorto. Certo, ha anche lui i suoi difetti. Per dirne uno, si chiama così – il nome lo ha scelto lo juventino di casa Loperfido – in onore di Cristiano Ronaldo e la cosa, detto tra noi, non è che mi faccia poi tanto piacere. Ma sul fatto che si tratti di un vero fuoriclasse nella ricerca della pace interiore non vi è dubbio alcuno.
A testimoniarlo, il modo in cui affronta la vita. A cominciare proprio da quel gesto mattutino: mettere il muso fuori dalla tana e osservare il mondo. A pensarci, una cosa che molti di noi hanno smesso di fare. Appena svegli guardiamo il cellulare, le notizie, i social, non le foglie del ciliegio percosse dalla pioggia e men che meno lo zampettare del merlo a caccia di vermi.
Insomma, lo avete già capito: sono uscito anch’io (dopo essermi imbacuccato ovviamente, erano 8 sotto zero…). Ho ripulito la mente dalle scorie dei pensieri e mi sono messo a guardare. Guardare e basta. Quando Ronnie ha deciso che era tempo di rientrare, da bravo e fedele allievo, l’ho seguito, desideroso di scoprire i passaggi successivi di quella sorta di percorso Kneipp della serenità. Lui si è sgranchito, allungandosi come un soffietto, sì, praticamente ha fatto ginnastica. Quindi si è messo sul divano. Ma non l’ha fatto con la noncuranza e con la pesantezza con cui di solito anche noi umani lo facciamo. Ha scelto con estrema attenzione un punto tra i cuscini, quello più adatto a poter accogliere il suo riposo, quindi si è sistemato, si è leccato un po’ – la nostra toilette – e ha compiuto il gesto che più mi ha affascinato. Con gli occhi semi-abbassati, orecchie-radar in modalità stand by, lo sguardo soddisfatto di chi ha compreso di aver trovato il suo posto nel mondo. Cosa ha fatto? Assolutamente nulla. È rimasto lì, silenzioso, sornione, meditabondo, pacioso ad osservare la silente realtà. In quel cuscino di peli, baffi e ossa ci ho visto un sacco di verità. Kant, ad esempio, quando sostiene che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce; vi ho scorto gli psicologi della Gestalt quando smentiscono la tesi che ciò che vediamo è determinato interamente dall’immagine retinica; ho colto gli assiomi di Gadamer quando afferma che è il contesto in cui l’individuo è collocato a determinare la sua comprensione; Schopenauer, naturalmente, ché il mondo fenomenico, nella sua empiricità, è una rappresentazione prodotta dalla volontà.
La vera realtà è quella della volontà, grazie Maestro Ronnie! Un gatto filosofo. Un fuoriclasse. E se fossi la Juve non avrei dubbi: lo comprerei.