È il primo giorno del nuovo anno, il terrazzino della cucina è gelido, rassetto il minimo indispensabile tra tazze di caffè e sigarette lasciate a metà, un leggero mal di testa perchè a quarant’anni lo spumante lo reggo meno che a venti, nonostante sia andata a dormire senza quel senso di obbligatorietà nel far mattina e festeggiare come se non ci fosse un domani. Che poi il domani, a quell’età, era un lasso talmente vasto da potersi permettere di perdere il primo giorno dell’anno passandolo a poltrire sul divano. Ora ho figli e il divano è un miraggio, occupato da pupazzi, pezzi di Lego e cianfrusaglie quando va bene, quando va male si trasforma in una capanna inaccessibile agli adulti. Quei piccoli mostri non si stancano mai, ricaricano le batterie a tempo di record e vivono ogni momento come fosse un capodanno.
Così mi ritrovo come ogni volta che termina un anno e ne inizia uno nuovo: schiacciata dalla stanchezza post festività, pervasa dalla pigrizia e da una briciola di nostalgia per tutte quelle cose che avrei voluto fare, e che puntualmente non ho fatto. Mi consolo in fretta essendo su questa terra da abbastanza anni da aver maturato la consapevolezza che, salvo qualche raro caso, non ho ancora visto nessuno portare a termine tutte quelle promesse che ci facciamo i primi giorni dell’anno alzando i calici e brindando accecati dalle luccicanti bollicine. Tutti quei buoni propositi che elaboriamo con l’approccio, sicuramente sbagliato ma abbagliante, del tutto o niente. Quante chiacchiere a tema “anno nuovo, vita nuova”: dieta sana, basta alcool o sigarette o relazioni tossiche, positività e motivazione a pacchi e allora via, subito un abbonamento in palestra di sei mesi così poi siamo obbligati ad andarci, salvo il primo febbraio essere già pronti a buttare i nuovi pantaloni e le scarpette per una nuova serie televisiva imperdibile con pizza, patatine e gelato annessi.
Ecco, quest’anno, voglio ribellarmi all’imperativo di investire tutti i sogni e aspirazioni in questa giornata. Come se da questa giornata dipendesse il destino dei futuri 365. Tanto lo so come va a finire, è un film già visto e vissuto. È la grandissima imprevedibilità contenuta nel quotidiano, il caos cosmico, come quello che in meno di venti minuti riescono a creare i miei figli in salotto, il disordine di quel campo minato che è la vita vera e non assomiglia a nessun profeta che fa del proprio corpo un tempio, della propria casa una pagina da rivista d’arredamento, del proprio amore un campo di fiori. Potrebbe essere pessimismo e invece no, vi assicuro che è semplice accettazione. L’imperfezione è bellezza. Come quella volta che volevo finalmente truccarmi come si deve ma niente, è bastato un balzo della gatta sul lavello affinché comprendessi che in fondo il mondo è abituato a vedermi andare in giro così e, ogni tanto, a volermi anche bene così.
Vivere la vita come se fosse l’ultimo giorno non fa per me, perché mettiamo che oggi fosse veramente il mio ultimo giorno, vorrei essere ricordata per la persona imperfetta e disordinata che sono e non per qualcuno che non ho mai conosciuto.
Oppure hanno ragione quelli dei buoni propositi e io semplicemente ho bisogno di posporre ancora un po’. Deve essere colpa del periodo: è così buio e freddo che non ho voglia di muovermi ed è probabilmente il momento più difficile per cambiare. E poi il primo dell’anno è domenica, magari ne riparliamo lunedì. Magari in primavera…