Essere colti per necessità lavorative ed esserlo per pura passione

Essere colti per necessità lavorative ed esserlo per pura passione

Per sembrare colti bisogna far credere di aver letto tutto. Tutti i titoli fondamentali della letteratura italiana e internazionale, nonché i principali saggi e padroneggiare i principi filosofici fondamentali e beninteso sostenere di averlo fatto una “prima” volta non più tardi di aver compiuto trent’anni. Eppure sappiamo benissimo tutti, colti e incolti, quanto sia umanamente impossibile aver letto ogni cosa, i classici, la poesia, narrativa di ogni genere, dalla fantascienza all’esistenzialismo, dallo sturm und drang al postmodernismo. Allora perché si continua a millantare se sappiamo benissimo che è falso? 

Per rispondere adeguatamente al quesito dobbiamo anzitutto operare una bipartizione dell’umanità che fa questa strana cosa del leggere i libri. Dobbiamo cioè dividerla pressapoco in due, mettendo da una parte coloro che leggono per ragioni professionali, nella fattispecie gli insegnanti e i professori universitari, dall’altra i lettori che esercitano attività che ben poco attengono alla lettura, quando non completamente avulse dal contesto (artigiani, operai, ecc.). I lettori “professionali” conoscono i libri fondamentali per lavoro. Ogni anno ne ripassano i contenuti e rendono edotti migliaia di studenti. Gli “altri” che vorrebbero leggere almeno con altrettanta intensità, ma non hanno tutto questo tempo per leggere, stanno su un altro piano. Si capisce. Per questi la lettura è una sorta di seconda attività, non retribuita. Per dirla in un altro modo, l’insegnante non è una persona colta, è solo uno che fa il suo lavoro. Facile ostentare un’ottima padronanza della materia in questo primo caso, assicurato l’effetto “raccogliticcio” nel secondo. Tanto nei salotti letterari, nei circoli, nelle scuole di scrittura, ai festival, lettori “professionali” susciteranno ammirazione e urla di giubilo, quanto i non-insegnanti faranno molto spesso la magra figura dei parvenus. Eppure né in un caso e nemmeno nell’altro è possibile affermare di aver letto tutto lo scibile, almeno non prima di una certa avanzatissima età. E ciò è perfettamente normale e comprensibile. Le 24 ore di una giornata, tolto lo spazio da dedicare a sonno, cibo, svago (e nel caso di chi non insegna letteratura anche il lavoro) si riducono a una manciata di minuti. Per farla breve: perché vergognarsi di ammettere di non aver mai letto “Cuore di tenebra” o “Il potere e la gloria” o ancora la proustiana Recherche oppure l’opera omnia di Jean Paul Sartre?! Perché lasciar intendere di aver fatto ciò che i limiti umani non avrebbero mai consentito di fare?

PS: Se pongo la questione è perché già da un po’ – nell’ambiente letterario – ho notato un vezzo abbastanza fastidioso. Adesso non ci si accontenta più di vantare una conoscenza basilare di ogni opera, ma si lascia intendere di aver trovato il tempo perfino per “rileggere” certi mattoni una seconda volta. È il fenomeno, credo tutto moderno, della “rilettura”, termine che suona come una moneta falsa, meglio di una moneta falsa. La presunzione di innocenza non la si nega a nessuno, per carità, nemmeno al rilettore più accanito. Ma perché allora se mi dici che stai “rileggendo” Dostoevskij non riesco a crederti? Siamo sicuri che non lo stai leggendo per la prima volta a cinquant’anni e ti pare che ci sia da vergognarsene, come se la vita del lettore di classici avesse una scadenza ben precisa? Tutto solo per sembrare maledettamente colti in un mondo popolato di gente ignorante come una scarpa.