Elizabeth, soldato scelto dell’epica femminile

Elizabeth, soldato scelto dell’epica femminile

È probabile che in qualche dimensione parallela Adolf Hitler stia ancora facendo il bagno in quella vasca, insaponandosi e pensando a quali e quante altre nefandezze commettere nella vita. Per nostra fortuna, nella realtà tangibile (l’unica che ci è dato di vivere), il 30 aprile 1945 A.H. era già morto e in quella vasca ha pensato di immergersi Elizabeth Miller Penrose (1907-1977, per gli amici molto più intimamente “Lee”) e perdippiù di farsi fotografare. Esistenza caleidoscopica la sua, che non può non affascinare chiunque ami la fotografia, l’arte, la storia e le storie. È quel che credo sia accaduto a Serena Dandini, letteralmente rapita da una figura per la quale – per sua stessa ammissione – ha sviluppato una vera e propria ossessione, che l’ha portata a scrivereLa vasca del Fürher” (Einaudi, pag. 242, Euro 17,50). Un libro che comincia con l’iconica scena di Lee che si toglie gli scarponi infangati in quel bagno e termina sempre con lei che, in quello stesso giorno di fine aprile, si aggira nell’appartamento del dittatore, al civico 16 di Prinzregenteplatz a Monaco, riflettendo sul consenso. (Ovvero sul dubbio che la morte di Hitler possa non sancire l’automatica fine dell’orrore, in quanto sono stati milioni i tedeschi che per anni lo hanno acclamato e ne hanno approvato le gesta e loro non sono morti. In Italia è avvenuto qualcosa del genere con il fascismo e con Mussolini.)
Ma tra la scena iniziale e quella finale del libro, ci sta l’affresco indimenticabile di un’epoca che il titolo del libro e la copertina rischiano probabilmente di far passare in secondo piano.

Elizabeth Miller

Un affresco che potremmo far cominciare il 20 maggio 1927, quando al Roosevelt Field, vicino a New York, Lee segue con lo sguardo eccitato lo “Spirit of Saint Louis” di Lindbergh, fino a che non scompare sull’Atlantico. È per uno scherzo del destino che questa donna incontra Condé Nast, l’editore di “Vogue”, rivista per la quale diverrà prima modella, quindi inviata e fotoreporter di guerra. Ed è la libertà il motore della sua storia, quella ricerca ossessiva che affascina Dandini, a volte presente nel libro in veste di io narrante, quasi una testimone oculare (forse anche troppo), con tanto di viaggi e sopralluoghi nei posti chiave della vita della nostra eroina: Rue Campagne-Première a Parigi, Farley Farm nel Sussex. “Nelle mie fantasie più ardite – scrive la scrittrice romana – la immagino come l’eroina di una necessaria epica femminile che, sotto il glamour di abiti sofisticati, veste la corazza della combattente pronta a qualsiasi sfida pur di affermare la propria autonomia”.

Man Ray, “Glass Tears” (1930)

A Parigi Elizabeth arriva nel 1929, con una lettera di presentazione per Man Ray, quando “le nuvole nere che soffocheranno l’Europa sono ancora lontane”. Tra lei e il celebre fotografo surrealista nascerà un rapporto breve ma estremamente passionale che ne segnerà le esistenze (si dice che Ray scattò la celebre fotografia “Lacrime di vetro” proprio il giorno dopo la rottura. Un modo per mostrare il suo immenso dolore).
Ma nel frattempo non se ne sta con le mani in mano. Per dirne una, conosce gente come Max Ernest, Pablo Picasso e Jean Cocteau, sposa un miliardario egiziano e si trasferisce al Cairo. Diceva di sé: «Sembravo un angelo fuori. Ero un demonio, invece, dentro». Finché il primo blitz nazista su Londra non le apre definitivamente gli occhi di fronte alla tragedia della guerra. È una delle pochissime donne che riesce a fotografare gli scenari bellici, come Omaha Beach nel 1944. Quando si scopre quel che è accaduto nei campi di sterminio, manda un emblematico telegramma in redazione: “Credetemi, è tutto vero!”
La guerra è sporca e Lee se la sente addosso. Per questo il 30 aprile, dopo aver strofinato gli stivali infangati sullo zerbino di Adolf, si immerge nella sua lussuosa vasca da bagno. Ma il lavacro non basterà a toglierle di dosso i fantasmi e il fetore di milioni di morti. Qualcosa le resterà dentro, come una cicatrice, come una bruciatura, e non le darà pace fino alla fine dei suoi giorni.

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