A che scopo vivere se il vento cancella le nostre tracce?

A che scopo vivere se il vento cancella le nostre tracce?

Il titolo in tedesco è Buchmendel. Stefan Zweig lo pubblicò nel 1929 nella raccolta Vier Erzählungen. Nonostante la brevità, in tempi recenti, gli editori Garzanti e Adelphi hanno voluto dargli dignità di libro a se stante. La storia è quella di Jakob Mendel, che trascorre le sua esistenza nel Caffé Gluck di Vienna, dedicandosi anima e corpo agli amati libri (a cos’altro, se no?!). Eccolo lì, posto sd una “sconfinata distanza dalla terra”, immerso in un “raccoglimento interiore” che gli fa raggiungere quel che, in ogni vita, è straordinario ed elevato. Un amore che è sacralità e feticismo, ma pure follia. La vita di Mendel, ebreo perseguitato, “deve” essere ricordata e raccontata. “A che scopo vivere, infatti, se il vento che ci sospinge spazza via anche l’ultima traccia del nostro passo?”

Sentii sulle labbra un gusto amaro, il gusto della caducità: a che scopo vivere, quando il vento stesso che ci sospinge spazza via anche l’ultima traccia del passo appena compiuto? Per trent’anni, per quaranta forse, un essere umano aveva respirato, letto, pensato, parlato in quei pochi metri quadri, ed erano bastati tre o quattro anni appena, […] e già non si ricordava più di Jakob Mendel, di Mendel dei libri”.

Stefan Zweig, “Il Mendel dei libri”, 1929

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