“Spare”, il libro di memorie del principe Harry, può essere visto in due modi. Come una legittima resa dei conti con il passato, una sorta di rivincita del cadetto, della “riserva” dei Windsor, sul resto dell’ingombrante famiglia, a partire dal padre, re Carlo III, e dal fratello maggiore William, erede al trono del Regno Unito. O come un segno di debolezza.
Fin dalla sua uscita il libro ha avuto, com’era prevedibile, un enorme successo. Merito del personaggio, certo, e delle polemiche che aveva già scatenato, ma anche del ghost writer, lo “scrittore fantasma”, che lo ha aiutato nell’impresa, J. R. Moehringer, autore fra l’altro dell’autobiografia del campione del tennis Andre Agassi, “Open”, e di quella del fondatore della Nike, Phil Knight, “L’arte della vittoria”. Un fuoriclasse, insomma. Va detto che siamo in un periodo favorevolissimo per questo genere di letteratura; pensiamo ad esempio all’ultimo Nobel, Anne Ernaux, che ha costruito quasi tutta la sua carriera sull’autobiografismo, mettendo a nudo anche i fatti più personali, compreso l’aborto (praticato oltretutto quando in Francia era ancora illegale). C’è poco da fare: i libri-verità, anche quando la verità prende le forme dell’autofiction – cioè di una reinvenzione letteraria delle proprie vicende personali – hanno avuto negli ultimi anni un gradimento formidabile. Probabilmente ciò è in parte dovuto ai reality show: 20 anni di Grande Fratello, Isola dei famosi e simili hanno prodotto un pubblico che questo chiede, storie vere o che sembrano vere, piuttosto che storie inventate, anche se l’invenzione letteraria, o artistica in genere, è spesso più efficace di ogni reality nel raccontare il “reale”. Va ricordato peraltro che alcuni dei libri più famosi della letteratura italiana del secondo Dopoguerra, come Lessico familiare, Cristo si è fermato ad Eboli o Se questo è un uomo, appartengono alla categoria del memoriale. E che il principale libro scritto da un altro premio Nobel per la letteratura, il cantautore Bob Dylan, Chronicles vol. 1, è autobiografico (più bello del giovanile Tarantula). Quindi, da questo punto di vista, non c’è poi niente di nuovo sotto il sole.
Che cosa lascia perplessi del memoir del principe Harry? Che cosa disturba quelli che lo attaccano? Si tratta solo del fatto che sia lui che la consorte Meghan Markle sono poco simpatici, mentre la famiglia reale inglese ha ancora molti fan, probabilmente accresciutisi grazie alla serie Netflix The Crown, oltre che per l’effetto-trascinamento della recente scomparsa della regina Elisabetta? Non credo. Anzi, il destino della “riserva” Harry può persino suscitare simpatia. In fondo, dicono gli estimatori, è un ragazzo che ha perso presto la madre, l’indimenticabile Diana, in circostanze tragiche, e che non ha trovato nel resto della famiglia l’affetto di cui avrebbe avuto bisogno. Il punto è che sia il dolore quanto il rancore, anche se espressi bene, possono funzionare fino ad un certo punto. Dopodiché, qualsiasi persona minimamente matura gira pagina, si rimbocca le maniche, e si impegna a dimostrare quanto vale. Al di là delle recriminazioni. Quanto valgono Harry e Meghan? Cos’altro si inventeranno, dopo l’intervista “esclusiva”, i libri e le serie tv sulla loro vita a corte? Raccontarsi va bene, lo facciamo tutti, chi più chi meno, in quest’era vocata all’esposizione ossessiva dell’ego e alla competizione per i like. Basta avere un profilo su un social ed ecco che diventiamo i venditori di noi stessi. Sotto questo aspetto, fra l’altro, quale paese può essere più accogliente degli Stati Uniti se ci si vuol dedicare a questo sport? Ma alla fine, come ben sa chiunque frequenti anche poco Facebook o Tik Tok, contano i contenuti. Prima o poi, se vorrà uscire dall’ombra della Corona, anche il principe Harry dovrà dimostrare di essere capace di riempire la sua vita di nuovi contenuti, nuove ambizioni, nuove sfide. Glielo auguriamo.