Come si dice: gli estremi si attraggono, o per meglio dire, convergono uno sull’altro fino a combaciare e a sovrapporsi. I latini – che certi incasinati concetti riuscivano a spiegarteli con due parole – dicevano: “Summus ius, summa iniuria”, che stava a ribadire come un’applicazione eccessivamente rigorosa della giustizia corresse seriamente il rischio di trasformarsi in ingiustizia grave. Eccesso uguale mancanza. Il curioso fenomeno può verificarsi un po’ in tutti i campi, dalla geometria alla matematica, dalla fisica all’ideologia (non a caso le derive più irragionevoli – sia a destra che a sinistra – sono detti “estremismi” e annoverano falangi di idioti, da una parte e dall’altra).
Ma che dire poi della scala etica del bene e del male, da sempre considerati in antitesi e, per comodità o per convenzioni religiose o moralistiche, collocate agli antipodi?
Tuttavia, quella su cui intendo qui ragionare è una scala un po’ particolare che forse (non ne sono affatto sicuro) ho inventato io. Lo so, con questa supposizione mi sto rivelando un po’ paraculo già in partenza, ma per l’appunto siamo sicuri che non vi sia un briciolo di genio in tutto ciò?
Ora vi propongo una suddivisione dell’umanità in due compagini: gente brava che crede di non essere all’altezza e dunque va rassicurata, e gente mediocre che invece si crede un genio e va bastonata. Spesso la paraculaggine è una reazione comportamentale che consegue alle due situazioni. Nel primo caso, sbagliando, si percepisce di non essere in grado di farcela e allora si evita qualsiasi eccesso; nella seconda situazione è la furbizia che supplisce ad una genialità solo millantata.
Insomma, il paraculo è un individuo allo stesso tempo eccessivamente cauto e estremamente furbo. In pratica, un ibrido. Anche perché la furbizia si dirama a sua volta in due possibilità, a seconda che siano gli altri a farne le spese o meno. Quando va bene, può essere sinonimo di scaltrezza; quando va male, di stronzaggine.
All’altro estremo della scala vi è il genio, ovvero colui (o colei) che non ha bisogno né di cautela né di una delle due versioni della furbizia. Quindi si direbbe che essere geni sia tutt’altra cosa dell’essere paraculi. Certo! Se non fosse che la genialità alla fine si regge solo su un enorme, mastodontico equivoco. Questo perché viviamo nella società dei tweet, della rabbia social, ma soprattutto dell’apparenza, dove basta guardare Bollani o “Propaganda Live” in tv per essere automaticamente accolti in riservatissimi club della cultura; un villaggio globale in cui basta saper fare veloci ricerche sul web per acquisire d’incanto l’autorità di un virologo, ingegnere, critico musicale o letterario, politologo, biografo di questa o quell’altro grande artista appena scomparso, risparmiandosi noiosissime ore di studio e pallosi esami all’università. In definitiva, siamo arrivati al punto che atteggiarsi a intelligente ed esserlo sono diventati lo stesso. Il genio e il paraculo per noi pari sono. A dividerli solo una sottilissima, quasi invisibile linea rossa.
Gli esempi, a questo punto, nell’arte, nella politica, nello sport si sprecherebbero, allettando la vostra curiosità, ma mi dimostrerei solo un grandissimo paraculo facendolo. Al contrario voglio che giunti in fondo all’articolo abbiate di chi scrive tutt’altra opinione, anche se poi, come sto tentando di dirvi già da diverse righe, sarebbe in fondo la stessa cosa. E d’altro canto, in gran parte di quello che faccio – rimanga tra noi – non mi sono mai considerato un vero e proprio genio… Ehm, vedi sopra.