Apro la porta di questo articolo ragionando su un fatto. Dopo le giravolte spaziali di una superstar delle orbite come Astrosamantha, per trovare il nome di un altro trentino tanto illustre nel campo dell’astronomia e dell’astrofisica dobbiamo fare una capriola pure noi, all’indietro. Duecento anni, per la precisione. Su per giù. Dobbiamo arrivare, cioè, a quel periodo storico che, a cavallo dell’illuminismo, ha visto nascere anche in Trentino una nutrita schiera di scienziati. Non un movimento organizzato, ma grandi personalità che come illuminati cani sciolti, emigrarono in diverse zone della penisola, in cerca di mecenati che sostenessero finanziariamente le loro ricerche. Medici, matematici, astronomi che formarono una comunità scientifica, sparpagliata, ma trentina. Si era nel pieno del secolo dei lumi, delle grandi curiosità tecniche e delle indagini minuziose sui fenomeni naturali. È curioso, ma l’ecumenico e antipositivista Trentino del Concilio non partorirà più scienziati di tale levatura per molto, molto tempo, dall’epoca in cui si svolgono i fatti che mi accingo a narrare. Qui da noi, l’Illuminismo troverà le porte chiuse a doppia mandata.
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Giuseppe Antonio Slop nasce a Cadine il 31 ottobre del 1740, nella villa che suo padre Francesco – commerciante della seta a Trento – utilizza assieme alla moglie, Lucrezia Panvini, come residenza estiva e autunnale. Leggenda vuole che Lucrezia discenda dallo storico Onofrio Panvinio, segretario del Cardinale Alessandro Farnese.
Una famiglia agiata gli Slop, vantano proprietà anche a Martignano, a Gardolo e in via del Macello in città, l’attuale via Mantova. Diciamo pure famiglia nobile, considerato che nel 1760 Maria Teresa decide di conferirle proprio un titolo nobiliare. Solo che anziché Baroni o Conti gli Slop vengono insigniti del titolo di “von Cadenberg”: più che un titolo, a dire la verità, un certificato di residenza.
Ragazzo sveglio, Giuseppe Antonio. Studi classici, ma soprattutto una gran voglia di prendere il mondo e rivoltarlo come un calzino. Sono anni di fermento scientifico e di grandi dispute. Copernicani e tolemaici fanno le ore piccole a furia di discussioni, e il Nostro non si tira certo indietro quando, nelle aule dell’oratorio S. Filippo Neri, si tratta di affermare che le regole di Tolomeo sono in contrasto evidente con la fisica e con l’astronomia. Al contrario, il sistema copernicano ben si adatta con entrambe e – con un po’ di fantasia – riesce a spiegare anche i luoghi delle Sacre Scritture.
Conclusi gli studi a Trento, vuoi per la vocazione ecclesiastica, vuoi perché forse trova l’ambiente trentino un po’ moscetto per stare dietro al suo impeto creativo, Giuseppe Slop si trasferisce a Pisa, metropoli del Granducato di Toscana. Si iscrive a Teologia e, tanto per non sbagliare, anche a Legge. Consegue le due lauree nel 1762. Un ragazzo ancora in cerca della sua strada, che si guarda attorno con avidità in attesa dell’illuminazione giusta.
Va a Roma, alle Sacre Congregazioni, per l’avvocatura e tutto il resto. Dopo due anni ne ha le tasche piene di diritto canonico e di teologia. Così decide di tornare a Pisa per studiare scienze matematiche e fisiche. E astronomia.
Pisa è la città di Galileo Galilei e il richiamo di una disciplina che “tutte supera in fascino a bellezza” è irresistibile per il ventiquattrenne tirolese.
Volevi l’illuminazione? Eccotela l’illuminazione. Di fare il prete non se ne parla, anche perché papà Francesco non è così entusiasta dell’idea e poi ‘sta vocazione non è così profonda come sembrava. Mettere a frutto quella laurea in materie giuridiche avrebbe potuto rivelarsi un’ottima idea, ma a Giuseppe la lampadina gli si accende definitivamente durante un corso di astronomia, tenuto da una superstar del campo: il celebre Tommaso Perelli (1704-1783).
Slop è tornato a Pisa con negli occhi una luce nuova: quella delle stelle. Perelli – a dire la verità – è un professore un po’ sui generis, con tanto talento, un nutrito numero di detrattori e un’allergia cronica all’etichetta. Non fa lezione in piedi sulla cattedra, non si fa chiamare “Capitano, oh mio capitano” dagli studenti, ma un po’ strano lo è lo stesso.
Che Slop abbia delle qualità, Perelli lo capisce da subito, tanto che dopo un solo anno intercede presso il Granduca di Toscana in persona. Pietro Leopoldo gli affida il posto di assistente alla Specola, l’osservatorio astronomico di Pisa, che lui non è ancora riuscito a mettere veramente in moto. Ora, non sappiamo se è così, ma è probabile che se Leopoldo non fosse stato figlio di Maria Teresa d’Austria, difficilmente avrebbe assegnato quell’incarico a uno straniero, un tirolese…
Tanto è vero che la seconda cattedra di astronomia che Perelli chiede per Slop viene negata in quanto in quell’università c’è la consuetudine di non assumere forestieri. “Quando nel proprio paese non si trova l’eccellenza in una professione – commenta inutilmente Perelli – conviene cercarla altrove”.
A Pisa Giuseppe può contare sulla presenza di un altro trentino, il fisico e oftalmologo Felice Fontana (1730-1805) che dal ‘65 insegna Logica nella stessa università.
Economicamente, però, Slop non se la cava benissimo. Lo stipendio di assistente non è poi questo gran che. Ciò nonostante, il ragazzo conosce una giovane ragazza inglese e se ne innamora. Elisabetta Dodsworth, questo il suo nome, appartiene a una di quelle famiglie borghesi d’oltremanica che a quel tempo usavano soggiornare in Toscana, portandosi dietro una gran voglia di cambiamento sociale. Anche per questo la polizia teneva loro gli occhi addosso. Le loro idee erano troppo moderne per i gusti del Granducato. Non evidentemente per Giuseppe Slop che rimane affascinato dal portamento dei Dodsworth e dalla giovinetta di casa. Al punto da sposarla, pare, nel 1866.
Non sappiamo per quale motivo Agostino Perini la definirà “brutta e sguaiata”. Per fortuna, pare abbia un’intelligenza sopra la media e una personalità che spesso soggioga quella del marito.
Un giorno, in vacanza a Roma, i due visitano, assieme di un gruppo di amici la Galleria Colonna. Ad un certo punto, la comitiva viene richiamata dalle urla civettuole di Elisabetta Dodsworh. Ha scorto il ritratto di un monaco che, a suo dire, è il sosia perfetto di suo marito. Il quadro, che verrà poi attribuito al Tintoretto, ritrae naturalmente Onofrio Panvinio, il presunto avo illustre dello Slop. A ben guardare, una certa somiglianza c’è…
Elisabetta e Giuseppe mettono al mondo ben cinque figli, ma solo dei primi tre abbiamo qualche notizia. E non sono notizie piacevoli…
Lucrezia, per dire della prima, sedotta malamente in giovane età, viene costretta a entrare nel convento delle Orsoline a Trento. Ma ben presto giungono notizie ch’ella passa molto tempo nella villa di Cadine e che un tale Waitz l’ha chiesta in sposa. Il professor Slop non sa più che pesci pigliare e chiede spesso conforto al suo amico e collega Fontana. Ad un certo punto pare ci sia di mezzo una gravidanza. L’odissea avrà termine nel 1795, quando si terrà un matrimonio riparatore con un nobile pisano di vent’anni più vecchio.
Il secondogenito, Daniele, dopo aver avuto alcune grane con il fisco, si vede sospeso lo stipendio per motivi politici.
Ma è Francesco la fonte delle più alte preoccupazioni per i coniugi Slop. Nel 1790 diventa assistente di suo padre, ma resiste solo qualche mese, dopo di che scompare letteralmente da Pisa, così, di punto in bianco. Si viene a sapere che è fuggito al seguito di una ricca signora inglese e prima di partire ha pensato bene di trarre su suo padre una cambiale di 140 zecchini. Lo ritroviamo a Mantova dove è tratto in arresto in quanto sospetta spia francese. Le porte del carcere restano chiuse per tre anni, fino a che Francesco non fa ritorno a casa.
Fa un po’ di tenerezza leggere le lettere successive in cui Giuseppe Slop anziché stigmatizzare le avventure del figlio, tende a minimizzarle.
A Pisa debbono chiudere non solo un occhio, ma due per accontentare il professore e riaccogliere Francesco alla Specola.
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La “Specola” è il primo osservatorio astronomico pubblico della Toscana. Era stata costruita nel 1734 su i resti di un’antica torre, ma era entrata in funzione parzialmente solo nel 1746. Dopo Galileo, passa attraverso di essa, quella vocazione a rimirar le stelle che – passando, se vogliamo, per il telefono del fiorentino Antonio Meucci – porterà la Toscana ad ospitare Virgo, l’inferometro, o misuratore di onde, che nel 2015 capterà le onde gravitazionali teorizzate da Albert Einstein, portando in Italia un pezzo del Nobel per la Fisica 2017.
Tra un grattacapo e l’altro, la dedizione al lavoro astronomico di Giuseppe Slop è totale e appassionata. Ha a disposizione numerosi strumenti che sa usare alla perfezione e con i quali, ad esempio, determina le coordinate dell’osservatorio. Poi studia assiduamente Saturno e Giove e la loro opposizione per meglio determinarne le orbite. Sforna numerosi volumi di studi che vengono apprezzati in tutta Europa.
Tra il 1769 e il 1771 compie importanti osservazioni sulle comete, calcolandone le orbite. Naturalmente pubblica i risultati, dedicando il libro al celebre astronomo francese, Jérôme Lalande, direttore dell’Osservatorio di Parigi, autore del Histoire Céleste Française, il catalogo più completo del suo tempo con le indicazioni della posizione di 47.390 stelle.
I calcoli di Slop sono esatti. I suoi risultati collimano con quelli dello stesso Lalande e di altri eminenti scienziati coevi: César-François Cassini, Leonhard Euler, noto in Italia come Eulero e Friedrich Wilhelm Bessel.
Nel 1779, contravvenendo alla regola del “prima i toscani”, il tirolese Slop viene nominato professore ordinario di astronomia. L’anno seguente, subentra sempre a Perelli nella direzione della Specola che, con i suoi cinque piani, comincia peraltro a dare inquietanti segnali di instabilità strutturale (nel 1826 verrà demolita e seguendo una vecchia indicazione proprio del Perelli, verrà “trasferita” sulla collina di Arcetri, vicino alla Villa “Il Gioiello” di Galileo, dove oggi c’è uno dei più importanti osservatori astrofisici del mondo).
Lavoratore instancabile, lo Slop non centellina mai le energie. La sua notorietà cresce in tutta Europa, dando un grosso impulso all’insegnamento dell’astronomia. Gli studenti aumentano di numero. Eppure dal punto di vista retributivo rimane un precario. Così decide di scrivere al Granduca in persona, chiedendogli di mettersi una mano sul cuore… E finalmente il suo stipendio viene adeguato al ruolo.
Il 13 marzo 1781, l’astronomo tedesco, naturalizzato britannico, Sir Frederick William Herschel (1738-1822), il fondatore della moderna astronomia stellare, primo descrittore della struttura della galassia, scopre il pianeta Urano. Compie però un piccolo errore di valutazione, considerandolo “una curiosa stella nebulosa o forse una cometa”. Slop si congratula con l’esimio collega, tuttavia resta molto dubbioso sulle affermazioni di quest’ultimo. Compie una serie di ricerche per determinare l’orbita del nuovo astro e trema al pensiero di cosa potrebbe in realtà essere quella che Herchel ha battezzato “stella di Giorgio”, in onore del re di Gran Bretagna Giorgio III.
A settembre, assieme ad un gruppo di astronomi, Giuseppe Slop scioglie le riserve: la Stella di Giorgio è un pianeta. La scoperta è di quelle epocali. Quello che oggi chiamiamo Urano e che nel 1781 viene chiamato, con poca fantasia, Pianeta di Giorgio era stato osservato fin dal 128 a.C., ma sempre scambiato per una stella o qualcosa del genere. Era dai tempi antichi che non si osservava un altro pianeta al di là dell’orbita di Saturno.
L’anno dopo Slop pubblica i suoi calcoli e le conclusioni in “Novi planetae observationes et theoria”. Il Pianeta di Giorgio diviene per lui un oggetto di studio costante, del quale riferisce più volte alla Società italiana delle Scienze di cui è membro, e del quale fa menzione nel fitto carteggio che lo vede costantemente in contatto con i più grandi astronomi europei.
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Ci sono cose di cui non mi capacito. Una di queste è come facessero Galileo o Newton o Keplero a fare le loro osservazioni e ad enunciare le loro teorie in secoli in cui per andare da Milano a Firenze ci volevano trentacinque ore. Cosa pensasse di loro la gente comune e la Chiesa lo sappiamo solo in parte, il resto lo possiamo immaginare. Come se oggi qualcuno si mettesse a costruire una macchina per il teletrasporto. Nella migliore delle ipotesi il popolino doveva supporre che si trattasse di svitati visionari. Eppure non di visioni si occupava Giuseppe Antonio Slop bensì di osservazioni, in particolare quelle che relaziona nel volume intitolato chilometricamente: “Osservazioni degli astri effettuate a Pisa nella Specola accademica dall’anno 1765 del corrente secolo diciottesimo alla fine dell’anno 1769 date alla luce per ordine e sotto gli auspici di Pietro Leopoldo”. È il 1795. Sul frontespizio, compare anche il nome di Francesco, sebbene sia abbastanza estraneo a quelle osservazioni. Cosa non fa un padre per il bene del figlio…
Si susseguono gli studi e le ricerche, sulle eclissi di sole e luna, sui satelliti di Giove, sulla natura e l’orbita delle comete.
Le fonti che ho consultato per scrivere questo articolo sono abbastanza datate. E va precisato che gran parte degli studi di Slop sono ancora inediti, custoditi nella biblioteca dell’Università di Pisa.
Nel 1796 assieme ad un nuovo arresto per spionaggio di Francesco, arriva la nomina a barone di Agnano. Questa volta un vero titolo nobiliare, non come quella specie di indicazione geografica protetta (“von Cadenberg”) concessa dall’Imperatrice Maria Teresa.
Nel 1799 i francesi occupano il Granducato di Toscana, costringendo Ferdinando III alla fuga in Austria. Giuseppe Slop, evidentemente affascinato dai lumi della ragione, simpatizza subito con gli intellettuali francesi. Anzi, non si limita a simpatizzare, ma si schiera apertamente per gli occupanti. Questa volta la fa fuori dal vaso, perché quando Ferdinando torna in Toscana scortato dalle truppe austriache e spazza via i francesi, Slop viene accusato di “infezione antimonarchica”. Un’infezione che gli fa perdere la cattedra. E anche un po’ la testa.
Con la dignità sotto i piedi, Slop tenta di convincere le istituzioni e così a furia di suppliche, giuri e spergiuri, umiliandosi come non mai, nel giugno del 1800 riesce a riprendere l’insegnamento, mettendo da parte gli impeti rivoluzionari e in saccoccia il riacquistato diritto alla pensione di anzianità.
Una delle sue ultime ricerche contribuisce in maniera decisiva alla scoperta dell’asteroide Juno 3 o Giunone, compiuta dall’astronomo tedesco Karl Ludwig Harding nel 1804.
Chiudo la porta di questo articolo sottolineando che, come avviene per le menti più geniali, una prova della rilevanza scientifica e della bravura di Slop si avrà solo dopo la sua morte, avvenuta nel febbraio del 1808, quando sia l’insegnamento dell’astronomia, sia la ricerca astronomica decadranno profondamente. Il suo successore, alle prese con le sfighe più varie, compreso un disastroso terremoto che inclinerà irreversibilmente la Specola, rimpiangerà più volte le capacità e la maestria di quel Giuseppe Antonio Slop von Cadenberg, barone di Agnano, il trentino che scoprì il pianeta Urano, contribuì a sondare le impenetrabili profondità dello spazio e, perdippiù, tenne a bada una moglie terribile e tre figli ancora più tremendi e imprevedibili.
Urano, gigante ghiacciato
Sebbene sia visibile anche ad occhio nudo, come gli altri cinque pianeti noti fin dall’antichità, Urano non fu mai riconosciuto come tale a causa della sua bassa luminosità e della sua orbita particolarmente lenta. La sua composizione chimica è simile a quella di Nettuno ma differente rispetto a quella dei giganti gassosi più grandi (Giove e Saturno). Per questa ragione gli astronomi talvolta preferiscono riferirsi a Urano e Nettuno trattandoli come una classe separata, i “giganti ghiacciati”. L’atmosfera del pianeta, sebbene sia simile a quella di Giove e Saturno per la presenza abbondante di idrogeno ed elio, contiene una proporzione elevata di “ghiacci”, come l’acqua, l’ammoniaca e il metano, assieme a tracce di idrocarburi. Quella di Urano è anche l’atmosfera più fredda del sistema solare, con una temperatura minima che può scendere fino a −224 °C. Una delle caratteristiche più insolite del pianeta è l’orientamento del suo asse di rotazione. Tutti gli altri pianeti hanno il proprio asse quasi perpendicolare al piano dell’orbita, mentre quello di Urano è quasi parallelo. Ruota quindi, esponendo al Sole uno dei suoi poli, per metà del periodo di rivoluzione con conseguente estremizzazione delle fasi stagionali.
La Sala delle Cicogne e la meridiana
Tra il 1780 e il 1789, Giuseppe Slop viene chiamato a Firenze dal Granduca per realizzazione di un osservatorio sul tetto dell’Imperiale e Regio Museo di Fisica e Storia Naturale (oggi Museo “La Specola”), il più antico Museo scientifico del mondo. Nella parte più alta del torrino ottagonale di Palazzo Torregiani, Slop realizza così la meravigliosa Sala delle Cicogne.
Il nome della sala deriva dalla presenza di coppie di cicogne scolpite in volo che sorreggono i pilastri. Giuseppe sceglie questo animale in quanto simbolo della conoscenza, ed inoltre perché due angoli delle pareti della sala sono posizionati sulla direttrice sud-nord e le cicogne sono solite migrare proprio lungo le rotte sud-nord e nord-sud. Sul pavimento della sala un prezioso tesoro scientifico: una meridiana filiare realizzata con una linea metallica (ne esistono solo altri due esempi al mondo, a Bologna e a Budapest), che regola ora e calendario, mentre una fascia di marmo riporta anche i segni zodiacali. È del 1784. Da un’apertura praticata nell’angolo meridionale della sala (foro gnomonico) entra un raggio del sole che si riflette sul pavimento. Man mano che ci si avvicina alle ore 12 il riflesso si approssima alla meridiana fino a sovrapporsi alla linea metallica alle ore 12 precise. Alle estremità della meridiana vi sono due dischi metallici, quello più lontano dalla fessura, è a forma ellittica e il riflesso del raggio del sole si sovrappone qui perfettamente a mezzogiorno del solstizio d’inverno (22 dicembre). Invece, il disco più vicino alla fessura ha la forma di un piccolo punto e qui il riflesso del raggio del sole si sovrappone alle ore 12 del solstizio d’estate (22 giugno), quando il sole si trova al suo zenit. Infine nella sala è presente anche un dispositivo su binario su cui scorre un telescopio in asse con la linea meridiana, chiamato “quarantale”, utilizzato per le osservazioni notturne.