Un anno fa il giorno che ci avrebbe cambiato la vita, l’inizio di un anno che avrebbe spazzato via 100mila persone, 100 mila volti, storie, affetti andati via per sempre. È il 9 marzo 2020 quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte – visibilmente commosso – annuncia la chiusura, pronunciando una parola inglese con cui avremmo imparato a familiarizzare: lockdown. “Le nostre abitudini vanno cambiate, lo dobbiamo fare subito”, dice, quasi profeticamente. Una cosa mai vista prima. La fine del mondo. Pensiamo di aver capito male. Domandiamo a chi ci sta vicino, telefoniamo a parenti, amici. No, è proprio così. È tutto vero.
In quegli stessi tragici momenti, si gioca l’ultima partita del campionato, Sassuolo-Brescia. Al’ultimo minuto del primo tempo, Francesco Caputo, attaccante dei neroverdi, segna e corre verso la telecamera più vicina. Anziché la consueta spensierata esultanza, mostra un foglio di carta. “Andrà tutto bene. Restate a casa”, c’è scritto con un pennarello rosso. In quella situazione surreale, per la prima volta l’angoscia ci pietrifica.
Seguiranno 69 giorni di paralisi sociale. Due mesi che non dimenticheremo mai più. Le canzoni e la musica dai balconi, per farci coraggio gli uni con gli altri. Ogni sera, alle 18, il bollettino dell’incubo in cui improvvisamente ci siamo ritrovati a dover vivere. Ci aggrappiamo a quella frase: “Andrà tutto bene”. La ripetiamo, come un mantra, una formula magica, un rituale voodoo che esorcizzi la paura.
Quindi, il 27 marzo il giorno più buio. In conferenza stampa quel numero spaventoso: 969 morti giornalieri. Nemmeno in una guerra. Una vertigine più alta delle altre ci assale quella sera: dove andremo a finire di questo passo? L’umanità in affanno – proprio come gli ammalati di coronavirus, come i ricoverati nelle terapie intensive, sempre più sature – assiste sgomenta alla celebrazione di Papa Francesco. Piazza San Pietro è deserta, sferzata dalla pioggia quando il Santo Padre solleva al cielo l’Ostensorio, per la benedizione Urbi et Orbi. Il silenzio rotto solo dalle sirene dei mezzi delle forze dell’ordine e delle ambulanze, parcheggiate al limitare della piazza. Le braccia di Francesco salgono a fatica, pochi centimetri per volta, eppure l’Ostensorio va su, sempre più su. Arriva fino all’alto dei cieli del nostro terrore. Quale sceneggiatore al mondo avrebbe potuto immaginare un’inquadratura del genere?!
Nei giorni seguenti, come dimenticare il silenzio nelle strade, le auto con gli altoparlanti che girano per le strade delle città, dei paesi, di borghi più belli d’Italia e anche di quelli meno belli: “Non rischiare la vita, restate a casa!” Sì, proprio una cosa mai vista prima. La fine del mondo.
Le code davanti ai supermercati sono un altro scenario arrivato dritto dritto da una serie tv di genere catastrofico. I camion dell’esercito a Bergamo, per portarsi via tutte quelle salme per la cremazione in altre regioni. Gli ospedali al collasso, ovunque il lamento delle sirene delle ambulanze che corrono di qua e di là, come madri disperate in cerca di un aiuto per i propri figli ammalati.
Un’ultima immagine simbolo: l’inquietante solitudine del Presidente Sergio Mattarella all’Altare della Patria, nel giorno della Liberazione, il 25 aprile. Liberaci dal male, tu che puoi! Dio, demiurgo, Natura, Allah, Jahvé, Shiva, comitato tecnico scientifico. Non ci interessa più chi, basta che lo si faccia. E subito! Perché questa se proprio non lo avete ancora capito è una cosa mai vista prima. La fine del mondo.
Un anno dopo, qualcuno ha chiesto al simpatico Ciccio Caputo cosa ci scriverebbe oggi su quell’oramai famoso foglio di carta. Non ha avuto dubbi: “Vacciniamoci”. Quindi ha aggiunto: “Penso che questa sia la strada più giusta, la strada migliore. Non è facile, ma vaccinandoci e con l’impegno di tutti potremo uscire da questa situazione”. Ottimismo, chiarezza e senso pratico. Non possiamo che sottoscrivere. Affinché fra un altro anno non dobbiamo ritrovarci a scrivere un altro pezzo come questo.