Una confraternita, una loggia segreta, un popolo eletto o forse perseguitato. Come meglio definire gli amanti della corsa? Questa torma di spostati che oltre a sorbirsi il peso dell’esistenza, non si sa di preciso il perché, decidono di aggiungere un altro fardello al proprio stare al mondo. Siano essi i professionisti più pagati o anonimi amatori che, come il sottoscritto, prendono il correre come un “dovere da sbrigare per non cedere al disordine del mondo”. A proposito: “amatori”, sì, ma di che cosa? La domanda ritorna, ossessiva, nelle pagine di quel libro prezioso che risponde al titolo di “Sulla corsa” (La nave di Teseo, pag. 160, Euro 15), ma che avrebbe tranquillamente potuto intitolarsi “L’umiliazione delle stelle”, perché anche loro, attraverso lo spaziotempo, corrono e lo fanno per amore.
Insomma, sono appena tornato dalla mia periodica corsetta, e sto contemplando il principio di mal di testa che quasi sempre mi fa compagnia dopo sforzi che forse non dovrei fare, quando finisco l’ultimo libro di Mauro Covacich e, commosso, decido di scriverne. Commosso soprattutto per via del dolore che Mauro decide di darci alla fine, raccontando della piega – che non conoscevo – che ha preso la sua vita di atleta. La sua anima di atleta. Scrivere e correre in fondo sono la stessa cosa. Chi durante il percorso terreno decide di fare una di queste due attività “è in guerra e vorrebbe tanto essere in pace”. Figuriamoci se si ritrova a farle entrambe. Mettere un piede davanti all’altro, concedersi al vento e, qualche volta, al pubblico ludibrio. “La corse esprime un tormento”: no, non è solo quello fisico.
Chi corre è un resistente, un patriota del dolore, un partigiano che – contro ogni logica – si è messo in testa di “boicottare le regole del consorzio civile su cui si regge il sistema produttivo”.“Sulla corsa” è un memoir che si legge come un romanzo. Lo so, è una frase banale, molto usata ultimamente. Ma in questo caso calza alla perfezione, perché nei romanzi di Covacich la corsa è molto più di un dettaglio. È il binario della sua ispirazione. È la spinta propulsiva che probabilmente lo ha portato, anni fa, alla decisione di scrivere libri. O forse una ha spinto l’altra, in perfetto equilibrio, come due stelle gemelle che si danzano attorno da un’eternità, in attesa di fondersi in un abbraccio senza fine. Umiliate per amore.