Fiaba di Natale
Recensione
““Che altro veramente esiste in questo mondo se non ciò che non è di questo mondo?”, si domanda Cristina Campo ne “Gli imperdonabili”. Ci mette un po’ in crisi, è vero. Ma non se si decide di scrivere di un libro che si intitola “fiaba”, e a ben guardare forse completamente “fiaba” non è.Con la probabile collaborazione di qualche folletto dalla faccia gialla e il cappello blu, lo ha scritto Simona Baldelli (“Fiaba di Natale”, Sellerio, pag. 178, € 13). Già. Luminescenti presenze che vanno e vengono, tra le pagine, danzando per 175 metri sul confine tra una realtà e l’altra. Affacciandosi, ridacchiando, puntando il dito sul naso del lettore che, carico di meraviglia (come in tutti i libri della Baldelli, segnatevelo!), si butta in questo racconto. Anzi, comincia a camminarci su, a piedi nudi, sul bordo delle pagine, tra le righe, come su un cavo d’acciaio.
Quasi a fare il verso, insomma, al protagonista di questa storia. Questo 67enne ex funambolo che ha deciso di fare l’impresa, ovvero di riempire di meraviglia la sua città, percorrendo sul cavo teso, a grande altezza, la distanza che separa la vecchia biblioteca dal campanile della chiesa abbandonata. Niente di speciale. Chi non l’ha mai fatto, suvvia! A chi non è mai capitato di fermarsi un momento e chiedersi “Che diavolo ci faccio qui?”. Per poi, rialzare la testa, raddrizzando la barra, godendo di un inaspettato e nuovo punto di vista? Chi non ha mai provato “quell’urgenza intima a cui non si riesce a dare un nome”?
L’uomo percorre i primi passi e la città resta sbigottita e attonita, là sotto. Ma chi è più funambolo tra l’uno e l’altra? Il primo, che sfida le leggi della fisica e il buon senso, o la seconda che continua a non sfidare nulla e se ne sta lì a guardarlo, ad ordire teorie del complotto. E non la smette di domandarsi: “Perché lo sta facendo? Dove stanno l’inganno, l’inghippo, la fregatura?” Dacché – dicono – ogni cosa nella vita è mossa da un preciso interesse.
Siamo costretti a constatarlo tutti i giorni, lo tocchiamo con gli occhi: perfino una pandemia deve avere il suo colpevole, con tanto di nome e cognome. Altrimenti la paura è pronta a sopraffare la mente. E tutto è perduto.
Il funambolo di questa “Fiaba di Natale” è la variabile impazzita di una soffocante normalità. Per questo la folla lo detesta, almeno inizialmente. Rompe gli schemi e mette a nudo il vuoto che alberga nei cuori. La folla di meglio non chiede che poter vivere serenamente. Bello, no?! Peccato che la parola non piaccia troppo al nostro eroe. Gli ricorda troppo una pozza d’acqua, probabilmente putrida e puzzolente.
Dà fastidio chi si scosta dalla normalità, perché la normalità è rassicurante come una coperta calda e una tazza di tè, durante un temporale. Ed invece il funambolo vuole “andare oltre”. Oltre che cosa? Non si sa. E forse non è così importante. “Uscite dal mondo!” scongiurava Elémire Zolla. Se però le vie d’uscita sono oscure, la mente ti si sconvolge. O meno prosaicamente, può essere che ti giri la testa; proprio come accade al pompiere e agli altri personaggi che di volta in volta tenteranno di dissuadere quel pazzo. Elementi non casuali. In ognuno il lettore più attento potrà scorgere quasi degli archetipi junghiani, che esprimono, via via, ordine, salute, sicurezza, affetti, fede, potere.
Giungerà al termine del suo percorso il funambolo o lo convinceranno a scendere? Non sarò certo io a svelarlo. Sarebbe scorretto, embè, ma soprattutto “normale”. E invece, in questo lavoro, Simona Baldelli affronta a testa alta la dittatura della normalità. In certa misura, andando controcorrente rispetto a proposte editoriali più facili e consolanti. E di questo le va dato atto. “Non c’è altro modo di essere salvi ed eterni che superando i propri confini”. Fossero pure 175 metri da percorrere su un cavo d’acciaio.