Quando la vita si fa amore

Quando la vita si fa amore

Ogni desiderio cela una mancanza. Un dolore o uno sconcerto che rimanda ad un’assenza. Una casella vuota nel questionario che ci tocca compilare – nel corso di un’esistenza – sin dal momento in cui veniamo al mondo. Lo sa bene Antonia, 50enne, allevatrice bolognese, alle prese con le acrobazie di una figlia adolescente che, a colpi di digiuni, prova a cancellarla dalla sua vita, a farle pagare caro l’azzardo di averla generata. “Anoressia” la chiama la scienza medica, che guarda caso deriva dal greco ανορεξία, termine filosofico usato per indicare proprio l’assenza di desiderio. Bingo!
Ma c’è anche un altro figlio, più segreto, più lontano – dall’altra parte dell’oceano, addirittura –, dall’altra parte della vita, che Antonia invece la cerca eccome, ne insegue l’assenza. Quanto può essere lacerata, disorientata e offesa una madre sospesa tra odio e amore? E, a proposito, come fa, così ambigua, la vita a farsi amore?
E di questo amore ne vogliamo parlare? O il generare vita rimane solo un freddo processo biologico, manovrato dalla psiche, azionato cioè da quell’assenza che ci rende fragili e fortissimi allo stesso tempo? Chissà.

Facciamo così. Prendiamo questo libro di Alessandra Sarchi (“Il dono di Antonia”, Einaudi editore, pag. 195, Euro 17,00), scomponiamolo, destrutturiamone il contenuto, il romanzo, le storie. Prendiamo i singoli capoversi e sfilacciamoli, quindi appendiamoli al sole ad asciugare. Poi tiriamoli giù, quando saranno belli secchi, e dissezioniamone le parole, aggettivi, verbi, nomi. Disponiamoli tutti lì, davanti a noi, chiudiamo gli occhi ed aspettiamo.
Si compongono ben presto tenui immagini davanti alle palpebre chiuse. Capretti che nascono, uova – “così perfette, così autosufficienti” – che si dischiudono, persone che diventano “intere, non solo corpo”, totem della maternità in ogni dove. Si respirano creazione e nascita tra le pagine, parole forse non a caso di genere femminile. Forse pure troppo. Alma mater matrigna. Al punto che anche le figure maschili in questo romanzo ci paiono talvolta vagamente effeminate. Ma tant’è. A che giova parlarne adesso che i pezzi di libro se ne stanno qui davanti, sul tavolo, pronti ad essere spazzati via del vento? Suvvia! Le anime di questa strana vicenda che emoziona, provoca rabbia e paura, sono così ben distinguibili. Le anime di Antonia. Madre disperata e preoccupata. Madre sola, in cerca di condivisione, altrove da quel compagno che pare leggero leggero, come carta velina.

Antonia madre straziata da un’assenza. Madre forse troppo innamorata di se stessa. Madre che non si capacita del fatto che “per mettere al mondo una vita si debba quasi morire”. (Per donare il respiro ad un’altra creatura è d’uopo correre il rischio di abbandonare il proprio, che diavolo, non lo sapevi, Antonia?!) Il desiderio di maternità cela la mancanza di sé, il rischio della propria assenza, di scomparire dalla scena del mondo.

Riapriamo gli occhi, adesso. Ricomponiamo le frasi, riattacchiamo le pagine, la copertina, chiudiamo il libro e mettiamolo sullo scaffale. Respiriamo. Ricordiamo. E piangiamo, forse, alla fine.