Caro aspirante scrittore, (naturalmente, ci rivolgiamo anche al genere femminile, tuttavia aborrendo l’uso di quella schifezza di e rovesciata, restiamo sull’uso di un solo genere per indicarne due), carissimo frustrato che stai cercando disperatamente di promuovere il frutto del tuo lavoro, delle notti insonni, delle elaborazioni luttuose, delle dolorose reminiscenze, egli amori perduti, delle ricerche storiche, oh, delicato e sensibile essere è a te che questo articolo si rivolge. Rialza il capo e rispolvera l’orgoglio, or dunque, perché stiamo per svelarti qualcosa che potrebbe cambiare la tua vita e mutare le tue pene in gioia, gioia senza limite e giudizio.
Quel che stiamo per rivelarti ti farà sentire un po’ sciocco, ma non importa, non avercela con te stesso. Non è stato per colpa tua se fino a qui ti sei rotolato nel malinteso.
Caro aspirante scrittore, che hai finalmente partorito il frutto del tuo genio e della tua volontà, apri bene le orecchie: non serve pubblicare per diventare uno scrittore. Lo sei già! Anche se nessuno udrà mai il tuo grido dolore, se le lor Signorie si guarderanno bene dall’inserirti in catalogo, dal leggere una o due pagine del tuo romanzo, quel tuo scritto “vive”, palpita, esiste, nonostante loro. Alla facciazza loro!
Diciamo però anche una cosa che costituisce un importante presupposto, il bastione di questa fortezza dell’orgoglio inedito: scrivere e pubblicare devono rimanere due cose distinte (parrebbe scontato, ma non lo è).
Esistono due tipi di mercato editoriale. Quello “alto”, fatto di Case grandi o medie, con autori, editor e direttori editoriali più o meno ammanicati con il mondo culturale dei giornali, delle riviste letterarie, dei premi. Più sotto, con incolmabile distacco, praticamente in cantina, ci sono le case editrici a pagamento. In mezzo sembra non esserci più nulla. La “terra di nessuno” dell’editoria. Uno spazio vuoto laddove un tempo lavorava e produceva un mondo editoriale illuminato fatto di ricerca e di proposta.
Ma torniamo a te, caro aspirante scrittore (e “scrittrice”, va bene!). Devi tenere ben presente che se quello che scrivi non piace al mercato editoriale alto non vuol dire che automaticamente faccia schifo o non sia di qualità. In una parola, cosa sia questo mondo a cui provi a rivolgerti con il cappello in mano lo dice il suo stesso nome: un mercato, appunto, che regola le sue scelte sull’economia della domanda. Ma l’editoria non dovrebbe agire così. “Loro” dicono che devono badare alle vendite, ok, ma è anche vero che il libro non è un lampadario o una radio a transistor. Il libro è qualcosa di più.
Dunque il vero problema oggi è che il mercato “fabbrica” i propri stessi prodotti, li fabbrica in serie mediante inseminazione artificiale, o per meglio dire, grazie ad una specie di autofecondazione in vitro. Rendiamoci conto che non cerca né intende scoprire nulla di diverso da ciò che già programma e concepisce da sé. Punto.
Cosa bisogna fare, dunque, per farcela? Beh, a parte avere un culo mostruoso, farsi un sacco di amici nell’ambiente delle case editrici, delle agenzie e delle riviste letterarie, delle giurie dei premi, scrivere recensioni ruffiane per accattivarsi autrici e autori, ecc. ecc.. In una parola: prostituirsi. E farlo di continuo. Starsene gran parte delle proprie giornate piegati a novanta. Ma ne vale davvero la pena?
Passare anni e anni a cercare di far colpo su personaggi di antipatia unica, affinché mandino a mente il tuo nome e il tuo cognome? Il tutto per cosa? Per pubblicare? Per “entrare nel giro”? Eppure quello che è stato scritto “rimane”, che si pubblichi oppure no. Il valore, la qualità, l’originalità, la voce narrativa sono elementi che esistono oggettivamente, anche se le case editrici continuano a risponderti che “non rientri nei loro programmi”, oppure “che non hanno tempo per esaminare il tuo lavoro”, o ancora che “se entro sei mesi non riceverà una risposta, bla bla…”. Tutte balle elargite non si capisce bene perché. Non sarebbe forse più sensato dichiarare nero su bianco che “l’editore non cerca nuovi autori né esamina manoscritti e girate alla larga?!”
Caro aspirante scrittore, è inutile che continui a scrivere ossequioso ai “loro” indirizzi mail, a compilare invitanti form, a importunare profili facebook, a fare capolino ai festiva letterari, durante le presentazioni, a mettere “mi piace” a post di cui ignori il significato. Lo so, hai scritto un ottimo romanzo, ben fatto, ben costruito, originale, ma a loro di te non frega proprio niente. Non ti stanno cercando, lo vuoi capire?! Smettila di scrivere sinossi e lettere di presentazione! Sii dignitoso, suvvia! e piantala lì di sbavare addosso agli uffici stampa: il tuo romanzo esiste già ed è bellissimo. “Loro” non si degnano manco di leggerlo? Beh, sai che ti dico? Peggio per loro!
Sai, aspirante scrittore, ci sarebbe un’alternativa ed è questa: se proprio ti sei fissato e vuoi vedere il tuo lavoro stampato e assemblato in forma di libro, puoi scendere di sotto, compiere la discesa negli inferi del mercato basso: l’editoria a pagamento, l’autopubblicazione, il crowdfunding ti stanno aspettando a braccia aperte come demoni sogghignanti. Va bene. Pensi che sia proprio necessario umiliarsi fino a questo punto? Allora, fallo! Pensi che sia sensato commissionare a proprie spese la stampa del proprio romanzo? Fallo, santoddio!
Prima però rispondi a questa nostra ultima domanda: perché hai scritto quel che hai scritto? Puoi rispondere subito e credi di aver bisogno di pensarci un po’ su? Se la risposta è la seconda, allora hai già risposto.
“Perché ho scritto quel che ho scritto?” È da qui che bisognerebbe sempre partire, prima di avventurarsi nei mari della Possibilità.
Come dici? Scrivi per pubblicare o per andare sul palco dello Strega?, beh, allora tanti auguri! Buone rosicate e mangiate di fegato. Se la tua risposta fosse stata “scrivo perché mi aiuta a vivere”, sai quanto te ne sarebbe potuto fregare dei premi letterari, degli inserti culturali e delle “meravigliose” opere dei soliti noti?!