Mio nonno e John Lennon

Mio nonno e John Lennon

Lo scorso 9 ottobre, John Lennon ha compiuto 80 anni. Giuro. L’ho letto da qualche parte. C’era scritto proprio così: “compie”. Ho controllato più volte: non “avrebbe compiuto se…”, ma proprio “compie”, indicativo presente. La cosa mi ha fatto riflettere. O meglio, ha ridato forza ad un’idea che mi accompagna fin dai primi anni dell’adolescenza. L’idea è la seguente: la morte è davvero tanto assoluta e definitiva come tutto sembra voler farci credere? Cerco di spiegarmi raccontandovi un aneddoto che mi riporta ancora più indietro, al 1977. Ho dieci anni. L’11 dicembre mio nonno Giuseppe muore all’improvviso. Nonostante prima del funerale ne osservi attentamente il cadavere (la morte allora non la si nascondeva, nemmeno ai più piccoli) non riesco ad accettare la sua scomparsa, o meglio il mio cervello rifiuta di crederlo. Nei giorni seguenti allora, nel segreto del mio lutto di sconsolato nipotino, pur di dare una spiegazione razionale all’accaduto, comincio a tessere l’ordito di complicate teorie complottistiche, in virtù delle quali, per ragioni che lì per lì mi rimangono oscure, egli è stato in realtà “rapito”. Da chi e per quale motivo sono particolari evidentemente irrilevanti. Per questo ogni volta che suona il citofono di casa io sobbalzo. Perché non ho dubbi a riguardo: giù di sotto ci sono “loro”, i rapitori che vengono a chiedere il riscatto.

Il fatto è che nella mia logica di bambino il non vedere più il nonno non significava che lui fosse morto, scomparso, sepolto sotto due metri di terra, ma solo che io non lo stavo vedendo. La morte era la condizione necessaria di una tale assenza, ma non era sufficiente. Non bastava affermarlo. Non bastavano i manifesti funebri che cominciavano a scolorire. Non bastava la sua sedia vuota a tavola. Insomma mancava il necessario nesso causale tra la morte e la contemporanea sparizione del nonno.

John Lennon, ma anche Andy Warhol, Italo Calvino, Gianni Brera: sono alcuni nomi di personaggi oggettivamente non più in questo mondo, ma che nella mia mente – chissà perché – sono ancora vivi. Ovvero, i neuroni qui sopra non sono tutti concordi nell’accettarne l’assenza definitiva. So che è pazzesco, ma – tanto per dire – se oggi all’improvviso vedessi comparire in tv Andy Warhol che dice la sua su Donald Trump, o se leggessi dell’uscita di un nuovo romanzo di Calvino, o se leggessi un pezzo del Giuanin nazionale su – chessò – calcio e pandemia, probabilmente non mi stupirei più di tanto. Anzi, avrei la conferma delle mie segrete supposizioni e, nonostante un piccolo choc iniziale, tirerei finalmente un sospiro di sollievo. Ogni dubbio sarebbe sciolto, alfine. Sarebbe la conferma che anche mio nonno, ormai ultracentenario, è ancora nelle mani dei rapitori, in attesa di questo benedetto riscatto. Un vuoto ontologico capace, però, di consolare.

In definitiva, come possiamo essere certi che l’albero che cade nella foresta faccia effettivamente rumore se non c’è nessuno ad ascoltarlo? Qualcuno forse si sorprenderà nello scoprire che il rapporto tra osservatore e realtà non è solo il fesso dubbio di un bimbo nel dicembre 1977, bensì uno dei più grandi enigmi della meccanica quantistica. Domandarci dove si trova una particella prima o dopo averla osservata è una domanda priva di senso perché è lo stesso atto dell’osservazione a determinarne una posizione e, quindi, l’esistenza. In pratica, la particella esiste proprio per il fatto che la guardiamo! Come dire che la realtà è determinata in via esclusiva da chi ci è immerso. E se il vostro lui o la vostra lei escono di casa, si chiudono la porta alle spalle e scompaiono alla vostra vista, per la meccanica quantistica, non abbiamo certezze sul fatto che continuino effettivamente ad esistere o meno. Così per tutto il resto. Le case, il supermercato, il municipio? Un dubbio che ci fa uscire di corsa, andare dietro al nostro amore e lo vediamo, eccolo lì, esiste eccome, sono le sue spalle quelle, e il viso che ci ha fatto innamorare. Guardale qui, le case! Il municipio e tutto il resto!

E se fosse solo merito della convinzione? La fortissima convinzione di ritrovare tutto esattamente come ce lo ricordavamo? Una convinzione talmente intensa e radicata da trasformarsi non nella nostra idea di realtà, ma nel suo stesso nucleo. La vediamo, sì, la possiamo anche toccare, ma solo un infinitesimo di secondo dopo averla forgiata nella nostra fervida immaginazione. Allora, buon compleanno, John! E tu, tieni duro, nonno! Ovunque voi siate.