Siamo in un misterioso e innevato paese dell’Est, ove i due attempati protagonisti cercano un figlio, perché non sono mai riusciti ad averne e perché lei ha i giorni contati a causa di una malattia. Malassortiti, come quasi tutte le coppie sposate da molti anni. Immersi in un rapporto inquinato da un milione di cose non dette. E un figlio, sì, forse quello potrebbe rimettere in asse la coppia, ridare un senso a tutto. Un’adozione fuori tempo massimo. Funzionerà?
Uno guarda la copertina nerovestita di questo ultimo – gotico, ipnotico, gelido – romanzo di Peter Cameron (“Cose che succedono la notte”, Adelphi, pag. 241, € 19) e la domanda se la fa per forza: “Perché, cos’è che succede esattamente la notte?” La risposta è in una delle battute della misteriosa Livia Pinhero-Rima, ospite-anfitrione dell’hotel in cui i due coniugi americani soggiornano. “La notte succede che tutti se ne vanno via”, dice la donna. Ha detto poco, signora mia!
Di giorno, però, tutto andrebbe come previsto, se Livia non ci si mettesse di mezzo, con tutti quei discorsi sul bene e sul male, attraverso i quali lo stesso Cameron forse prova a dirci qualcosa del nostro tempo: “Viviamo in un’epoca buia, nessuno riesce a trovare una propria strada”.
La storia peraltro avrebbe un lieto fine, sì, se nella cittadina, oltre ad un orfanotrofio discount, non operasse Fratello Emmanuel, un guaritore, santone, messia, fate voi. Una presenza che pian piano manda all’aria ogni proposito dei due americani. Perché costui irradia speranza, consapevolezza, redenzione: bagatelle che tutto possono cambiare. Sempre. Ecco che allora passano le ore, i giorni, e il marito comincia a tirar fuori la sua insoddisfazione (“Mi piacerebbe che mi facessero uscire da me stesso e mi infilassero in un cassetto”), mentre lei cambia prospettiva, incanalando la vicenda sui binari del surreale. Ma a ben vedere tutto in questo romanzo lo è: in bilico tra la realtà e la figurazione della stessa. E se Livia non è più reale di una sensazione, un altro ospite del lussuoso albergo, l’uomo d’affari, omosessuale, affamato di sesso, assomiglia così tanto ad uno dei travestimenti del Male e della Tentazione. Lo stesso Imperial Grand Hotel – che in più cose mi ricorda l’Overlook di kinghiana memoria – è uno spaventoso organismo che si nutre delle esistenze e dei ricordi dei propri ospiti.
Insomma, la sensazione è che il mondo sia davvero troppo grande e complicato da tenere a bada. Chiudere gli occhi, questo sì. A volte può essere un sollievo non vedere più niente. Come andrà a finire? Troveranno ascolto i reiterati consigli della suadente Livia? Ed esiste davvero costei o altro non è se non la personificazione della coscienza di lui e dei rimpianti di lei? Verrà adottato dunque, alla fine, il bambino?
“Le cose che desideriamo con tutto il cuore e per le quali lottiamo disperatamente – conclude Livia – sono quelle che ci riservano le delusioni più cocenti”. Che ci sia del vero in tutto ciò?