Non c’è un termine per definire la percezione della morte. E nemmeno un senso – tra i cinque a nostra disposizione – ad essa dedicato in via esclusiva. Per rendere l’idea, sto parlando di una via di mezzo tra odore e sapore, intrecciato con il tocco di una dimensione oscura, palpabile come il caldo innaturale che ti sorprende, entrando in una piscina coperta, in pieno inverno. Scrivo di morte perché a mio avviso è lei la vera protagonista de L’incanto del pesce luna (Bollati Boringhieri, 2020, pp. 186, € 16,50). L’ho riconosciuta senza difficoltà dopo solo poche pagine. Perdendomi nella storia di Gonzalo (come un celebre personaggio di Gadda), cerimoniere presso una Società di Cremazione, uomo dalla vita sospesa, così come lo è quella di sua figlia Inés, caduta all’età di otto anni in un misterioso stato di coma profondo.
L’ho riconosciuta o meglio, me la sono ricordata. È la stessa di alcuni incubi che facevo più o meno all’età di Inés, subito dopo la morte improvvisa di mio nonno. Mai mi sarei aspettato di “risvegliarla” con una tale intensità, e di riceverne in dono una nuova cognizione, mediante la godibile lettura di questo romanzo (finalista peraltro al premio Campiello). Non temete, però! In fondo, come dice Gonzalo, la morte non deve farci così tanta paura. “Da vivi siamo peggio”.
Non dirò – forse lo si sarà capito – molto della trama e nemmeno del genere: ambedue, infatti, li ho trovati di non facile spiegazione. Devo confessare che la storia, in alcuni punti, mi ha fatto seriamente temere che saltasse fuori l’ennesimo vice-questore, avvocato, commissario regionale a inaugurare una nuova saga, ma per fortuna non è stato così. Allo stesso modo, parlare di romanzo surreale, o peggio, horror non sarebbe poi del tutto sbagliato, sebbene la credibilità degli atteggiamenti umani sovente ci possa far domandare: fino a che punto è corretto assegnare un genere ad un libro quando quello stesso genere si incastra perfettamente nell’intero puzzle del mondo?
Di certo dirò che è un libro strano. Nel senso che intende il sig. Nardi, l’uomo che cede il suo orrorifico impiego al nostro Gonzalo, al servizio dell’inquietante signorina Marisòl. “La stranezza è la forma che prende il bello quando quel bello è disperato”. In tal senso, “L’incanto del pesce luna” (titolo che di primo acchito può far pensare ad una fiaba) narra una storia strana e bella. E al contempo, disperata, etimologicamente: “senza più alcuna meta”.
Disperata per la nostalgia di un’arcadia, oramai sfuggitaci di mano. Voglio dire: non ci piace più quasi niente di quanto ci circonda. Ecco allora il rimpianto che si condensa nei “fotogrammi della vita di prima”: i musical degli anni ’50, con Gene Kelly che canta sotto la pioggia, le canzoni di Charles Trenet, il ghigno di Gloria Swanson che senza ombra di dubbio associo, fin dalla sua prima apparizione nel libro, alle sembianze della signorina Marisòl.
“Disperata” per come racconta il male. Lo fa con la precisione e la furbizia di un agente immobiliare, mentre enuncia i tantissimi pregi e i difetti pressocché inesistenti di un appartamento che sta provando a vendere. Il male è così: un appartamento che sembra perfetto. Sembra… Perché, occhio!, che “niente è perfetto. Nemmeno il male”.
Ma “Disperata” soprattutto come la fame, altro tema ricorrente del libro. Marisòl dice di compiere le sue crudeltà per “fame”. Così come per il sig. Lentini – altro personaggio chiave – è il suo lavoro la sua fame. Mi ha irrimediabilmente ricordato la “fame” che nel 1890 tormenta l’alter ego di Knut Hamsun, permettendogli di mettere a nudo – in un libro memorabile – lo sporco doppio gioco della società, crudele matrigna, cinica e torturatrice, almeno quanto la vecchia Marisòl.
Una storia “Disperata” come l’insetto che ad un certo punto Gonzalo si ritrova a contemplare sul piano della doccia. Schiacciato in un angolo dall’improvviso disvelamento della realtà, da una riscoperta cognizione della morte, silenziata dalle nostre frenetiche vite di insetti, resa inascoltabile dal crescente rumore dell’inutile.
Ma c’è un’ultima cosa.
Scoprire, al termine della lettura, che Ade Zeno è uno pseudonimo e che l’autore di questo romanzo fa lo stesso mestiere di Gonzalo ci dona un ultimo brivido di freddo. La sagace sensazione che turba nel momento in cui ci si rende conto di essersi lasciati sfuggire qualcosa di terribilmente importante. Eccola quella dimensione oscura! Il caldo innaturale che ti avvolge – 5 gradi sotto zero, là fuori –, poco prima di tuffarti in piscina.