L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini
Che c’è da dire ancora sulla morte di Pier Paolo Pasolini? Considerato quante congetture sono state fatte nei 45 anni trascorsi dall’eccidio di Ostia, nulla, forse. Siamo tutti d’accordo, a parte Simona Zecchi che per Ponte alle Grazie ha appena sfornato il suo secondo libro a riguardo. Cinque anni dopo “Pasolini. Massacro di un poeta”, ecco “L’inchiesta spezzata di Pier Paolo Pasolini” (pag. 435, Euro 18,00), a dire che non tutto è stato ancora detto. Non solo. È probabile che siano stati proprio i fatti più rilevanti ad essere ancora taciuti. Tutti tasselli che vanno a comporre la strategia del linciaggio, anche postumo, che ha puntato a “distruggere la credibilità e la reputazione del poeta friulano, spogliandolo della sua essenza interiore, rivoltandola”. Il risultato? Non si è più riusciti ad accettare l’ipotesi che la sua morte potesse essere dovuta a qualcosa di diverso da una lite a sfondo sessuale. Anzi, nell’Italia moralista dei decenni successivi si è riusciti ad enfatizzare quel punto, oscurando l’immenso pensiero di Pasolini, la sua visionarietà, le parole con cui ci ha messo tutti con le spalle al muro, ancora prima che venissimo al mondo, prefigurando il mondo che avremmo abitato. Un gigante di questa levatura non muore per un banale litigio “amoroso”, è evidente. Ma allora che accadde quella notte, ad Ostia? Come mai, stando ad alcune testimonianze, c’erano diverse auto ed una motocicletta? Pino Pelosi dunque non era solo? E perché la parcella del suo legale – 50 milioni di lire – venne saldata dalla Democrazia Cristiana?
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